Omelia di Mons. Gianni Sacchi per la Celebrazione Eucaristica nel Giorno di Pasqua

 

Cattedrale di Casale Monferrato, 12 aprile 2020

 

Innanzitutto, un saluto a tutti voi, cari fratelli e sorelle, che ci seguite da casa in streaming a causa dell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando. E’ sicuramente una Pasqua inedita quella di quest’anno, con il blocco totale di ogni movimento e di ogni incontro di festa che una solennità come quella di oggi produce. Allora, pur relegati in casa non facciamoci sfuggire il messaggio profondo e straordinario che ogni anno la Pasqua ci porta.

A Pasqua i nostri fratelli delle chiese orientali bussano alle porte di casa dei loro vicini e li salutano dicendo: “Cristo è risorto“ e gli altri rispondono “Cristo è risorto“. Χριστὸς ἀνέστη. Se fossimo noi a portare (telefonando) questo messaggio al vicino, all’amico, alle persone in questo giorno, come saremmo accolti? È facile immaginarlo. Del resto, come abbiamo accolto noi questo messaggio? Anche noi facciamo fatica a credere. Non abbiamo le prove che vorremmo, non abbiamo l’evidenza che pretendiamo per dare un’adesione senza riserve. Ci è più facile accogliere il crocifisso, emblema di tutto il dolore del mondo, che l’immagine del Cristo risorto. Ma se togliamo la resurrezione non rimane più nulla del cristianesimo. Uno scrittore italiano Guido Piovene scrisse anni fa: “Non saprei che cosa farmene di un cristianesimo che non mi promettesse la resurrezione“.

Il problema che si pone a noi cristiani di questo terzo millennio è duplice: come ritrovare una fede più limpida e convinta nella resurrezione di Cristo e come rendere questa fede credibile di fronte ad un mondo sempre più scettico e ostile alla fede cristiana? Sarebbe bello se ciascuno oggi facesse la sua professione di fede mettendo in comune le ragioni per cui è importante la Pasqua e che cosa dice questa festa alla nostra vita… Tenterò anch’io di confidare, tra le diverse motivazioni possibili, quella che per me è la più suggestiva e quindi anche la più convincente. Si parlava prima della mancanza di prove. A parlare di resurrezione c’è solo un sepolcro vuoto. Quelli che vi accorrono, di fatto non vedono nulla: vedono solo un’assenza. Ma proprio quella mancanza di prove mi sembra la più grande.

Rimango sempre stupito quando, leggendo i racconti evangelici della resurrezione, trovo che Gesù, risorto, non ama le espressioni trionfali della gloria umana.  Se qualcuno avesse voluto inventare i racconti della resurrezione, avrebbe certamente spettacolarizzato una vicenda con apparizione ai nemici, al sinedrio, ai suoi persecutori… La resurrezione non è una rivincita, una prova di forza. Gesù non si impone.  Sta discretamente vicino al sepolcro facendosi riconoscere da chi lo ama.  Entra a porte chiuse senza scardinarle, in modo sommesso. Questa assenza di trionfo stupisce e fa riflettere. Non potrebbe essere questo un segno del divino? Mentre noi amiamo il delirio dell’onnipotenza, il Signore, proprio perché è il Signore, ama invece la follia dell’umiltà, anche nel momento del suo trionfo sulla morte.  È un grande insegnamento quello che ci viene da Gesù, una lezione per tutti coloro che vogliono essere testimoni del risorto.

La luce buona e discreta della resurrezione non è compatibile con la luce abbagliante che noi preferiamo. Chi è testimone della resurrezione non alza la voce, non grida, non si abbandona a trionfalismi, ma sente di dover comunicare la sua gioia con un certo pudore e umiltà.  “Ho visto il Signore” dice la Maddalena ai discepoli. A parlare doveva essere soprattutto la luce dei suoi occhi e lo stupore di cui era colmo il suo cuore. Ora anche noi possiamo capire qual è la linea da seguire quando si vuol parlare del segreto che è al centro della nostra fede. La resurrezione non è una verità da sapere, ma un evento da vivere. Non basta perciò proclamare che Cristo è risorto.

Sarebbe un’affermazione astratta se io non fossi capace di misurarmi con queste domande: Che cosa mi dice un’affermazione di questo genere? Dove vive ora Cristo e dove lo posso trovare e incontrare? E che cosa cambia nella mia vita l’incontro con lui? Il mondo ci chiede ragione della nostra fede e le ragioni le troviamo nel cuore.

Le troviamo nell’incontro assiduo con lui. Perché ogni domenica i cristiani lasciano le loro case per venire qui in questa cattedrale, in tutte le nostre chiese parrocchiali sparse sul territorio? Non certo per un precetto… Vengono qui, vanno in tutte le chiese perché lo incontrano e da lui si sentono confermati nella fede. Ascoltano la sua parola.  Lo ricevono nel pane della vita. Ecco dove lo trovo e lo incontro. Ma non solo… “Qualunque cosa avete fatto i miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me”.  Nella carità – nell’amore – nell’altro vedo e incontro il volto di Cristo. Che cosa cambia nella mia vita? Ognuno onestamente deve, nel profondo del proprio cuore, porsi questa domanda e verificare il cammino della fede. Cristo risorto cammini sempre con noi e ci aiuti a scoprirlo in ogni momento piccolo e grande della nostra vita.

Buona Pasqua!