Omelia di Mons. Gianni Sacchi per la Celebrazione Eucaristica nella Solennità di Sant’Evasio, patrono

 

Cattedrale di Casale Monferrato, 12 novembre 2020

 

Un caro e affettuoso saluto a tutti voi che siete qui stasera e a coloro che ci seguono da casa attraverso la diretta streaming. Un benvenuto deferente alle autorità civili e militari, a cominciare dal Signor Sindaco di Casale Monferrato, al Venerando Capitolo della Cattedrale, all’Arciconfraternita di Sant’Evasio, ai cari sacerdoti e diaconi, che con me condividono l’annuncio del Vangelo in questa terra fecondata dal sangue del santo vescovo e martire Evasio.

Alla fine di maggio, dopo i drammatici due mesi e mezzo di lockdown abbiamo visto la fine di un tunnel oscuro e difficile, con l’auspicio di averlo lasciato alle spalle. Ma purtroppo non è stato così; la leggerezza di tanti nostri comportamenti, l’inadeguatezza della politica dal fiato corto e poco lungimirante, che ha avuto quattro mesi per organizzarsi al meglio (e non l’ha fatto – parlate con i medici di famiglia e del territorio e con quelli ospedalieri per sapere com’è la situazione reale), e l’insofferenza nostra a vivere seguendo misure di attenzione e contenimento, ci ha riportati in una situazione che è veramente preoccupante, perché sembra incontrollabile. Siamo nuovamente nella più cupa incertezza; la gente ha paura, gli anziani sono spaventati e, ammettiamolo, spesso anche noi ci sentiamo impotenti a rassegnati.

Prima di messa abbiamo compiuto un gesto che vorrei diventasse una tradizione di questa festa. Il Sindaco di Casale ha offerto un cero a nome della Città e lo ha acceso davanti all’urna di Sant’Evasio. È un gesto dal significato molto importante. È un gesto devozionale, ma che ha un richiamo simbolico eloquente: invochiamo l’intercessione di Sant’Evasio, ricorriamo a colui che da secoli è invocato patrono della città e della diocesi. Quella fiammella sta a significare la nostra invocazione e la nostra fede vacillante e tremolante di fronte a Dio, ma pur sempre accesa, che ci permette di vedere nel buio e nell’oscurità della vita.

E non sono tempi oscuri e difficili quelli che stiamo attraversando? Crisi sanitaria, economica e sociale, culturale, ecclesiale… Solo uno sguardo di fede ci permette di vedere oltre, di percepire una Presenza e una mano che mai ci abbandona. Dai tempi del seminario ho iniziato a raccogliere gufi di ogni genere: di legno, pietra, vetro, ceramica… Mi affascinano questi uccelli che sanno vedere nel buio della notte.

Un padre domenicano Louis Albert Lassus morto nel 2003 – profondo conoscitore dell’eremitismo camaldolese, ha scritto un bel libro sulla preghiera (Pregare è una festa) dove c’è un brano che questa sera voglio leggervi:

I gufi e le civette mi piacciono per i loro occhi. Ah! quegli occhi enormi, occhi da icone! Molto prima di me, hanno letteralmente affascinato i Bizantini. Con loro sono diventati gli occhi del Cristo Pantocrator, quelli della Vergine, degli angeli e dei santi.
Bestemmia, sacrilegio?
Via… Non vedete, o saggi, non vedete, o assonnati dagli occhi cisposi, uomini e donne dagli occhietti stretti e semichiusi, che Dio ha fatto gli occhi dei gufi e delle civette così enormi affinché fossero occhi che vedono nella notte, quando le cose sono ciò che sono e nient’altro?
Per scrutare le tenebre bisogna avere occhi smisurati, gli occhi di Dio stesso.
Allora la notte diventa luce.
I gufi … si ostinano a scrutare la notte con i loro occhi rotondi, la notte delle cose, la notte di Dio. Sono là come sentinelle in attesa, pazientemente appollaiate sulle loro fragili zampe, fino a che si levi l’Altro Sole.
Mi trovavo un giorno in un celebre monastero benedettino. Ebbi l’incredibile audacia di dire, di fronte alla comunità riunita (un’impressionante e dignitosa massa nera): «Miei padri, se non diventerete come gufi, non entrerete nel Regno…»
Ci fu un momento di silenzioso stupore. Poi vidi i volti di quei cercatori di Dio ridere come stelle in inverno. Sapevano che avevo ragione.
Non sono mai più tornato in quel monastero: a cosa servirebbe? Non ho più niente da dire dal momento che tutti hanno capito che il cammino era chiaramente quello: diventare uomini dagli occhi immensi.

Negli uomini dagli occhi immensi che sanno vedere nel buio, che sanno vedere oltre, si apre la speranza. Quella speranza che (tante volte) vacilla ai piedi della croce di Gesù e delle nostre croci. Quella speranza che è scaturita il mattino di Pasqua 2000 anni fa. Perché è proprio Gesù risorto che genera, rigenera e sostiene ogni nostra speranza anche se in mezzo a tante tempeste come quella che stiamo attraversando. Gesù è la nostra Speranza e la sua parola allontana e dirada le nostre paure. “Non temete”; “Non abbiate paura”; “Non abbiate dunque timore”. Il testo evangelico ascoltato è attraversato da questa litania.

Di quali paure parla Gesù? E come superarle? Le paure sono tante. Pensiamo solo al periodo che stiamo vivendo con tutte le sue incertezze…Paure legate alla precarietà della vita (oggi messa in crisi da un parassita infinitamente piccolo come un virus =  veleno, dal latino) ben significata dall’immagine labile e fragile come un capello. Oppure le paure che nascono da quanto l’uomo può fare al suo simile. Il fratello che odia il fratello e lo uccide. Ma Gesù ci aiuta a capire che la sola difesa contro la paura è la fede.

È però importante riflettere su questo, per poter percepire, alla luce della fede, le varie realtà che ci permettono di allontanare ciò che ci turba di più. “Non temete gli uomini – dice Gesù – perché non c’è nulla di nascosto che non debba essere svelato”.

Viviamo in una società dove tutto sembra svelato, alla portata di tutti: sappiamo chi sono i privilegiati, quelli che se la spassano e quelli che sono dimenticati; chi fa le leggi, le impone e chi le subisce. Chi sembra onesto e persona perbene e chi è circondato da sospetti e diffidenze. Anche nella Chiesa c’è una versione ufficiale, pubblica, che si mostra come quella vera e autentica.

Se fosse solo così, se le realtà si esaurisse solo in ciò che appare, ci sarebbe da patire un senso di frustrazione per i limiti e le ingiustizie che avvertiremmo. Ma Gesù viene a dirci: “Non temete! State tranquilli perché c’è una storia che viene scritta sul libro di Dio, che è ben diversa da quella scritta sul libro degli uomini. Ciò che è nascosto e che solo Dio conosce, verrà alla luce. Tutto il bene fatto, nell’umiltà dei giorni emergerà come un fiume carsico”.

Un’altra suggestione per vincere la paura è quella che Gesù consegna queste parole: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima”. Potremmo attualizzarla così: “Non abbiate paura di chi vuole togliervi cose materiali, beni di consumo e prestigio sociale. Temete piuttosto chi vuole manipolare il vostro pensiero e i vostri criteri di giudizio, chi attenta alla vostra libertà imponendo pensieri omologati. E state attenti a quelli che con false promesse riempiono la vostra vita di tanti piccoli idoli e intanto vi portano via il bene più grande che è la fede “.

E poi, un’altra ragione per allontanare la paura: “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Queste parole sono per chi si sente inutile e inefficiente in un mondo che esalta solo chi produce e guadagna. Gesù ci dice che nessuno ha una vita vuota e inutile. Dio è il custode geloso della vita di tutti, quale che sia. Noi siamo nel cuore e nella memoria di Dio. Questi sono i pensieri sulla fede che ci permettono di vincere e superare ogni paura. E certamente tutto ciò che abbiamo detto non è una cosa automatica, ma sottintende un cammino di ascolto incessante, un rapporto personale con Dio da coltivare nell’intimità, per poter sentire anche noi quella voce che ogni giorno ci ripete: “Non temere! Non avere paura!”

La vita di Gesù è un inno alla speranza. Lui non ha mai cessato di credere che le prostitute potessero cambiare vita, che gli occhi dei ciechi potessero aprirsi, che si potesse perdonare i propri nemici. Sognatore, Gesù, è rimasto fino alla morte. È finito in croce per le sue idee e i suoi sogni. Ecco perché ci tocca nel profondo e ci affascina. Ci ha parlato di un Dio un po’ folle, folle d’amore, che corre ad abbracciare i figli che ritornano a casa; che paga gli operai dell’ultima ora come quelli arrivati al mattino presto; che ordina di raccogliere per strada tutti gli esclusi per invitarli alla sua festa.

Ora tocca a noi parlare di questo Dio. Il Dio di Gesù Cristo.

“Predicarlo sui tetti“ non vuol dire fare proselitismo e propaganda, pubblicità alla fede, ma parlare di lui con la vita, con la passione con cui parliamo agli altri delle cose belle che ci stanno a cuore. In queste tenebre che attraversiamo Lui è la nostra Luce. E la sua luce compie prodigi straordinari se la si lascia entrare nella propria vita. Se lasciamo che la luce si rifletta nello specchio della nostra vita.
La luce del Vangelo, del Cristo Crocefisso e Risorto. La luce di una vita che si fa dono.

Una sera un monaco accettò di andare a cena a casa di un amico.
Durante la cena il figlio più piccolo, vedendolo vestito con l’abito monastico, non gli toglieva gli occhi di dosso e ad un certo punto gli chiese: “Ma tu chi sei?”.
“Sono un monaco”, rispose il padre.
E il piccolo: “E cosa fai?”
“Mi alzo alle quattro ogni mattina”, rispose il monaco.
“Alle quattro? Ma cosa fai alle quattro?”
“Comincio ad essere felice”, gli rispose subito il monaco.

È la felicità di chi ha trovato verità e libertà, speranza contro ogni disperazione e paura. Dentro uno sguardo: quello di Cristo … “Fissatolo lo amò” (Mc 10,17).
Auguriamoci di incontrare uno sguardo così. Ne saremo sedotti, affascinati. Troveremo un senso ai vostri giorni, al nostro cammino, al nostro cercare. Azzarderemo dei sì a Dio e agli altri di cui non ci pentiremo.

Non si mercanteggia col buon Dio:
bisogna arrendersi a lui senza condizioni.
Dategli tutto, egli vi renderà assai di più. (Georges Bernanos)

Sant’Evasio, patrono della nostra città e della diocesi, sostienici con la tua fraterna amicizia e presenza in questi nostri difficili giorni.

Veglia su tutti noi! Amen