Omelia di Mons. Gianni Sacchi per la Santa Messa del Crisma nella Vigilia di Pentecoste

 

Cattedrale di Casale Monferrato, 30 maggio 2020

 

Cari fratelli sacerdoti, cari diaconi, Religiosi e religiose, Santo popolo di Dio, è per me un motivo di grande gioia essere qui con voi per celebrare la Santa messa Crismale ancora in tempo, all’ultimo minuto nel tempo di Pasqua. Un momento atteso da tanto, un momento che ho molto desiderato, perché gli incontri virtuali che abbiamo vissuto ci hanno fatto sentire la vicinanza dei fratelli, ma lo stare insieme è un’altra cosa. Certo, è uno stare insieme condizionato, ma comunque è già un primo passo verso il ritorno di relazioni umane vere.

“Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste…“ (sal 133).

Questa sera lo Spirito Santo, il dono d’amore del Padre e del Figlio ci ha riuniti insieme per essere la Chiesa vivente. Quello Spirito che tutti abbiamo ricevuto nel battesimo, nella cresima: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo” e nell’ordine sacro: sui diaconi è stato invocato lo Spirito affinché li fortifichi con i sette doni della sua grazia, perché compiano fedelmente l’opera del loro ministero. Sui presbiteri è chiesto al Padre di rinnovare l’effusione del suo Spirito di santità per adempiere fedelmente il ministero del secondo grado sacerdotale da loro ricevuto perché con l’esempio guidino tutti ad un’integra condotta di vita. Su di me è stata invocata la Potenza che viene dal Padre, lo Spirito che regge e guida.

Lo Spirito che invochiamo in questa solennità di Pentecoste è lo Spirito di amore e di comunione nel mistero trinitario, la nostra fraternità sacerdotale è specchio della comunione trinitaria. Quella comunione che ci è forse fisicamente mancata in questo periodo, ma spero non spiritualmente. La Chiesa deve essere la casa e la scuola della comunione. È importante viverla tra di noi e trasmetterla…

San Gregorio Magno insegnava che chi non è capace di dare testimonianza di vera carità non dovrebbe ardire di assumersi il ministero sacerdotale. E possiamo anche comprendere il perché: la Carità pastorale, centro vitale dell’identità del prete, non sopravvive in un cuore incapace di lasciarsi amare teneramente da Cristo, per poter poi condividere e trasmettere questo amore i fratelli. La carità pastorale che ci identifica deve tradursi in relazioni d’amore. Ma come si fa a parlare di carità pastorale se noi non riusciamo ad avere con i confratelli relazioni improntate all’amore evangelico?  Dico questo perché i tempi che stiamo vivendo ci interpellano fortemente come Chiesa, sulla testimonianza originale che il Vangelo porta con sé.

Sempre più appare chiaro che la nostra società oggi non sa che farsene di parolai che vendono fumo, ma cerca testimoni innamorati e contagiosi (un termine oggi un po’ sinistro, ma efficace). Contagiosi nell’amore. Questa tempesta epidemica che si è scatenata sul mondo intero, ci ha toccati profondamente nelle nostre relazioni umane, spirituali, nella società e nell’economia scatenando reazioni che nei prossimi mesi e anni dovremo essere capaci di intercettare, capire e alleviare. Noi sacerdoti dobbiamo essere uniti, fare fronte comune a questa situazione, aprire gli occhi del cuore della mente per leggere in profondità i segni di questo tempo.

È la nostra precisa responsabilità quella di interpretare ciò che è avvenuto, per orientare poi le nostre scelte ecclesiali. Usciamo dalle banalità e dalle frasi fatte, come ne abbiamo ascoltate tante in questo periodo. Molti di voi hanno raccolto la sofferenza di tante famiglie che hanno vissuto lutti, crisi relazionali ed economiche. Un territorio come il nostro, già in affanno, ha subito un duro colpo con conseguenze pesanti. Noi Chiesa di Casale, che risposte diamo?

Lo Spirito ci aiuta a leggere la Parola di Dio per trovare risposte e avere la forza di mettere mano a nuovi percorsi pastorali, aprendoci alle novità che il Soffio di Dio ci suggerisce.  Le circostanze che abbiamo vissuto hanno creato le condizioni per farci esprimere la nostra vicinanza alla gente, in modo virtuale con il rischio però di un pericolo di sovraesposizione di noi stessi… Ora dobbiamo dare spazio alla comunità, alla nostra gente per percorrere insieme ad essa un vero cammino di speranza e rinnovamento nelle nostre Unità Pastorali. Una delle frasi che più ho sentito e sicuramente abbiamo detto anche noi, è stata questa: “Dopo questa pandemia, nulla sarà più come prima“. Qualcun altro diceva: “Speriamo che tutto ritorni come prima“.

Noi preti che diciamo? Che cosa speriamo? Ecco il nostro impegno: cercare risposte guidati dallo Spirito, risposte che non risolvono i problemi, ma ci aiutano ad avviare un cammino incarnato nella reale situazione della nostra società con tutte le sfide che ci interpellano. Siamo pochi, con tante fatiche e a volte un po’ demotivati; ma proprio per questo dobbiamo stringerci insieme, volerci bene ed essere un cuore solo un’anima sola. È importante allora riflettere sul fondamento sacramentale della nostra fraternità sacerdotale.

Il concilio Vaticano II ci ha detto parole molto importanti su questo punto:

Tutti i presbiteri costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio Vescovo… Pertanto, ciascuno è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità…(Presbyterorum Ordinis 8)

In virtù della comunità di ordinazione e missione, tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un’intima fraternità che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità. (Lumen Gentium 28)

In un documento della CEI del 2000, sulla formazione permanente dei presbiteri, leggiamo:

Non può esistere il prete solitario; con l’ordine sacro egli entra a far parte di una fraternità sacramentale, e la comunione diventa la modalità fondamentale attraverso cui ogni presbitero serve la Chiesa e ne promuove la missione nel mondo.

Non dobbiamo mai dimenticarci che ciò che vi unisce, cari sacerdoti, è:

  • la medesima vocazione,
  • la medesima ordinazione,
  • la medesima missione.

E tutto parte da Lui. Non è scontato ripetere che l’amore per Lui e ciò che ci fa essere come “veri“ preti. Innamorati di Lui, amanti di Lui e dei fratelli. Dal tempo che sapremo dedicare a Lui nella preghiera, nella meditazione della Parola, in una vita di relazione e di intimità con il Maestro, sarà fecondo il nostro ministero.

L’amore che sperimentiamo ci unisce a Cristo e ci spinge a spezzare la nostra vita come un dono per la nostra gente. Lui è la perla preziosa per cui vale la pena lasciare le piccole bigiotterie delle suggestioni del mondo, del successo, dell’esteriorità, degli affetti e del potere che possono ammaliarci e distogliere il nostro sguardo da ciò che vale e conta veramente. Amiamo la nostra Chiesa, quella Chiesa che ci ha chiamati ad un servizio così bello e coinvolgente. Amarla quando tutto va bene, quando si è nella luce e amarla quando è segnata dal peccato e dalle nostre fragilità. È la nostra sposa che ci è affidata per renderla bella con la nostra testimonianza e il nostro amore.

L’amore si esprime vivendo un’esperienza autentica di fraternità sacerdotale, di amicizia e di condivisione tra noi, aiutandoci a vicenda e soprattutto ascoltandoci perché nessuno si senta “Solo“ e trascurato. Siamo sacerdoti non per noi stessi, ma per il santo popolo di Dio. Sappiamo bene che siamo fragili peccatori, ma siamo mandati ad accogliere l’umanità fragile e sofferente dei fratelli. Abbiamo un dono da condividere che è Cristo, siamo abitati dalla grazia e dalla promessa di un amore fedele che non verrà mai meno.

Di un giovane teologo italiano, Luigi Maria Epicoco, che vive all’Aquila nelle zone terremotate ho trovato una bella riflessione sul suo sacerdozio che faccio nostra:

Il sacerdozio, come ogni altra vocazione, non è mai un discorso chiuso. Non è mai qualcosa che puoi dire “ora ho capito tutto”. E questa, forse, è l’essenza stessa del cristianesimo: si deve essere disposti ad apprendere sempre… Di solito la gente pensa che i preti abbiano la risposta a tutto. Spero che non sia davvero così. Anche perché di risposte ne abbiamo ben poche oggi. Sappiamo però che il nostro ruolo non è quello di dare delle risposte, ma di suscitare domande giuste nei cuori della gente. Perché la risposta non è un’invenzione di preti, né un argomento deciso da qualche maggioranza. La risposta è Gesù Cristo, e non c’è niente da inventarsi. Le domande, quelle sì che sono roba nostra. La vera educazione che un prete fa alla sua gente è quella di suscitare domande vere.

Di aiutare le persone a tornare a chiedere un senso, a tornare a puntare in alto, a non accontentarsi di una vita mediocre.
Un prete non è uno che la sa lunga, ma uno che sa che la storia e la vita sono più profonde di ciò che appaiono in questo istante. … La Chiesa non è quella delle pietre, ma è quella delle persone. Ed è l’amore il collante che ci tiene insieme, non i confini parrocchiali. Ma questa conversione l’ho imparata nel fragore del terremoto.

Prima la predicavo, oggi la sperimento.
… Ogni giorno che passa sono sempre più felice di essere prete. E mentre gli altri fissano lo sguardo sui nostri sacrifici o sui nostri limiti, io sono sempre più grato a Dio per il dono del sacerdozio. E lo sono anche oggi mentre rincorro le mie pecore disperse un po’ ovunque, e mentre non ho più una Chiesa dove celebrare la messa. 
La gratitudine di cui parlo è una felicità che non dipende dai contesti, ma è vera sempre, anzi lo è di più in assenza di altri confort. Forse molti non ci credono, ma anche i preti possono essere felici.

Io lo sono, e non sono il solo.

E noi lo siamo?

Concludo con un pensiero del vescovo mons. Tonino Bello

Lo Spirito Santo irrompa dentro di voi
e vi dia soprattutto il dono del sogno.
Se il mondo oggi va male è perché si sogna poco.
Una Chiesa che non sogna non è Chiesa.

È solo apparato.
Quando preghiamo chiediamo anche tanta capacità di sogno.

Noi Chiesa di Casale, sappiamo sognare?