Omelia di Mons. Gianni Sacchi per la Celebrazione Eucaristica nell’Ascensione del Signore

 

Cattedrale di Casale Monferrato, 24 maggio 2020

 

L’Ascensione che oggi celebriamo rischia di essere una delle feste messe al termine del tempo di Pasqua senza comprenderne il significato profondo che ha. È ricordata nel credo, viene celebrata dalla liturgia, ma in noi non trova quell’attenzione che meriterebbe. E non va neppure vista come una riproposizione della resurrezione anche se ad essa è indissolubilmente legata. A Pasqua il Gesù morto e sepolto è vivo, risorto. Nell’Ascensione l’umiliato sulla croce è intronizzato alla destra del Padre. La pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra d’angolo che sostiene tutto l’edificio.

L’Ascensione, in un certo senso, arricchisce la resurrezione di due note che hanno (o dovrebbero avere) riflessi significativi nell’esistenza dei credenti.

Prima nota: Gesù se ne va.  Anticamente il cero pasquale si spegneva in questa festa per dire che il tempo delle apparizioni del risorto è finito.  Gesù ritorna al Padre per indicarci la mèta finale di tutta l’umanità.  L’Ascensione è la festa del nostro destino. Come scrisse Romano Guardini “Solo il cristianesimo ha osato collocare un corpo d’uomo nella profondità di Dio”. Nel cuore della Trinità c’è il Cristo risorto con il suo corpo glorificato, quel corpo umano preso da Maria.

Ma ecco la seconda nota: Gesù non cessa di rimanere con i suoi fino alla fine del tempo. L’Ascensione inaugura la presenza invisibile del Cristo. Capita di sentire qualcuno che dice:  “Se Cristo ritornasse sulla terra…“,  Come se fossimo abbandonati a noi stessi.  Gesù non ci ha lasciati: “Io sono con voi per sempre “. Si tratta di cogliere i segni del suo passaggio invisibile, di scoprire le tracce dei suoi passi confuse con le tracce dei nostri passi sulla sabbia della storia. Dove possiamo trovarlo? I cristiani, nella loro storia, hanno dimostrato a questo riguardo sensibilità diverse.

I protestanti vedono la presenza del Cristo nella parola “Sola scriptura“e nella predicazione.  I cattolici hanno privilegiato la Chiesa e il suo magistero, i ministri ordinati e i sacramenti (l’eucarestia), così come gli ortodossi.

In tutti comunque c’è questa convinzione: che Cristo non va cercato in alto, nei cieli, ma sulla terra, perché il Cristo è in mezzo a noi nei santi segni e nell’uomo.  Nei fratelli, nelle sorelle, in tutti gli uomini conosciuti e sconosciuti, soprattutto nei poveri, nei piccoli e negli ultimi: “Qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatta a me”. I santi di ieri e di oggi che incarnano il suo Vangelo, sono la sua presenza che si dona, che serve, e perdona.

Con l’Ascensione, Gesù ci affida un impegno grande: essere suoi testimoni con la vita, con l’amore e la fedeltà, sicuri di poterlo sempre incontrare ogni giorno sulle strade della vita. E i cieli di cui parla la scrittura non sono evidentemente un luogo fisico, ma una dimensione. Ci ricordiamo ancora di quando Juri Gagarin, ritornando dal suo viaggio nello spazio – il primo della storia dell’umanità – affermò di non aver visto alcun dio. Anche per l’ateo meno sprovveduto era ovvio che una simile affermazione non poteva costituire un argomento convincente contro l’esistenza di Dio.

“Padre nostro che sei nei cieli…” Indica una distanza inaccessibile, un’altra dimensione. Quando parliamo di Dio non ha alcun senso dire sotto, sopra, su o giù…  pensare al paradiso come un insieme di tante nuvolette dove ci passeggiano sopra i santi e beati (come ci mostra tante volte la pubblicità). Usiamo questo linguaggio e queste immagini perché ci mancano le categorie per potercelo rappresentare. Ad un non-vedente nessuno può spiegare i colori perché solo gli occhi funzionanti li possono cogliere.  Così succede nei confronti dell’aldilà o della vita eterna che è al di fuori del tempo e dello spazio. Ma questo non avviene solo per le cose di Dio. Lo scienziato si trova, in certa misura, nella stessa posizione, solo che non ci riflette. Per lui il cosmo, per quanto sconfinato è però finito.  Ebbene cosa c’è al di là della fine? Risponde il nulla, il vuoto.

“Sì, ma che cos’è il nulla?”. Se non riusciamo a immaginare Dio che è l’Essere, non riusciamo neppure a immaginare il nulla.  Fate la prova se riuscite a rappresentarvi il nulla, che non è il vuoto. Pascal scriveva: “Per arrivare al nulla ci vuole tanta capacità quanta per giungere a comprendere il tutto”.

Voglio dire che se anche eliminiamo l’idea di Dio e dell’aldilà, non abbiamo ancora eliminato il mistero della nostra vita. E noi che siamo qui crediamo che tutto abbia un senso, c’è per tutti una meta da raggiungere, quella dove è andato Gesù a prepararci un posto per l’eternità. Lui è il Capo e il Primogenito dell’umanità nuova e dove è lui ci saremo anche noi.

“Io sono con voi per sempre”. Ora è qui con noi in questa Eucaristia, nella Parola ascoltata, nel Pane della vita che ancora una volta spezza per noi. Di domenica in domenica, fino alla domenica senza tramonto.