Omelia di Mons. Gianni Sacchi nella Celebrazione del Venerdì Santo

19 aprile 2019

Carissimi fratelli e sorelle, oggi celebriamo in una chiesa spoglia, priva di ornamenti, per contemplare Colui che si è lasciato togliere tutto per diventare il servo dell’umanità ed offrirsi interamente. Siamo entrati in questa liturgia attraverso un momento di silenzio perché il cuore, libero da ogni sollecitazione, possa accogliere, come abbiamo fatto, il racconto della passione e della morte di Gesù. Riconosciamo che il male, l’odio e la violenza possono anche distruggere la vita di Gesù. Ma il suo amore è più forte della morte.

Il venerdì Santo ci mette ogni anno davanti alla croce per contemplare l’amore smisurato che ci viene offerto. Storia singolare quella di questo strumento di morte, di cui i romani si servivano fin troppo spesso per intimidire ed impaurire, per sopprimere in modo spietato ogni tentativo di rivolta. In effetti, al tempo di Gesù, la croce destava terrore. Non era un mezzo qualsiasi per dare la morte ad un condannato: chi moriva su questo patibolo andava incontro a lunghe ore di agonia, sotto gli occhi di tutti e finiva per concludere la sua esistenza tra atroci dolori, per soffocamento.

Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe accaduto: il Cristo, inchiodato alla croce, avrebbe trasformato quel legno in un simbolo di amore di salvezza. Ed esso sarebbe diventato il segno di riconoscimento dei suoi seguaci. Contempliamo il nostro crocifisso. E’ splendido, ammirato da tutti, ma se pensiamo a quale terribile strumento di morte si rifà, questo ci fa inorridire. Come si è potuto produrre un tale capovolgimento? È stato Gesù a produrlo: il suo atteggiamento non è quello di un condannato che invoca vendetta, che grida tutta la sua rabbia. Egli continua ad amare, nonostante l’ingiusta condanna, nonostante i patimenti crudeli che gli sono stati inflitti, nonostante le falsità che hanno pronunciato contro di lui, nonostante lo scherno di cui è stato oggetto.

Continua ad amare perché il suo amore non ha fine. Continua ad amare perché solo così la morte, la cattiveria, il male subiranno la prima, cocente sconfitta.

E gli uomini, bagnati dal suo sangue che scende dalla croce, verranno rigenerati ad una vita nuova. Secondo l’antichissima tradizione, in questa liturgia del venerdì Santo, verrà portata in mezzo a noi la croce per essere adorata.

Sul legno della croce c’è il corpo ferito e sanguinante di un uomo che ha condiviso in tutto i nostri dolori alle nostre fatiche. Su quel legno c’è il giusto che ha voluto affrontare a viso aperto un’ingiusta condanna per sottrarci a tutto ciò che deturpa e rovina la nostra vita. Su quel legno c’è il corpo del figlio di Dio che ha accettato che su di lui si scatenasse la cattiveria degli uomini, perché il male fosse privato della sua potenza mortifera.

Ai piedi della croce, oggi più che mai, scopriamo di essere figli dello stesso Padre e fratelli perché uniti dal sangue di Cristo che bagna l’umanità. Come ultimo momento di questa solenne liturgia del Venerdì Santo, ci sarà la comunione eucaristica con il pane consacrato nella messa memoriale dell’ultima Cena di Gesù, ieri sera. Mangiare quel pane che è il corpo di Cristo ci fa partecipare nel modo più semplice alla sua morte resurrezione e ci riempie della sua stessa vita.

Radunata nel silenzio, questa assemblea si scioglierà in un silenzio colmo delle parole, dei gesti, dei sentimenti di una liturgia che ha espresso il dolore, la tristezza, ma anche la gratitudine la speranza. L’agnello senza peccato ha percorso le nostre strade. Noi sapremo imboccare la sua, quella che ci ha tracciato? Il Figlio di Dio ha accettato l’umiliazione e la morte. Siamo pronti anche noi a prendere la croce, disposti a perdere la nostra vita?