“Vorrei lasciarvi alcune piste concrete, come padre e pastore, perché il cammino che  iniziate sia fecondo e fiducioso:

Custodite l’Eucaristia domenicale come cuore di ogni parrocchia e cuore dell’unità: valorizzate le celebrazioni condivise, le occasioni comuni, ma anche l’ascolto reciproco tra comunità.

Formate una vera comunità tra i presbiteri: la corresponsabilità tra i parroci, il dialogo sereno, la preghiera comune tra di voi sarà il primo segno che l’unità è reale. Come dice san Giovanni Paolo II: ‘Non ci può essere nuova evangelizzazione senza nuovi evangelizzatori, e i primi siamo noi, ministri del Vangelo’.

Create percorsi formativi comuni per catechisti, operatori pastorali, giovani: la formazione è la prima missione condivisa. Insieme si cresce, insieme si costruisce il futuro.

Accogliete le fatiche e i timori delle vostre comunità con pazienza e carità: la speranza non impone, ma propone. Il cambiamento pastorale sarà credibile solo se accompagnato con tenerezza, ascolto e tempo.

Siate missionari della speranza tra le famiglie, i poveri, i giovani: non chiudetevi nelle sacrestie o nelle dinamiche autoreferenziali. Usciamo! Siate Chiesa in uscita, come chiedeva con forza papa Francesco.

Cari fratelli e sorelle, a Cana il vino nuovo è segno delle nozze eterne che Dio prepara per il suo popolo. Così anche noi, qui a Crea, comprendiamo che la speranza vera non viene dai nostri programmi, ma dalla grazia di Dio, se ci affidiamo a Lui come Maria”.

Così sabato 13 settembre il vescovo mons. Gianni Sacchi ha concluso la sua omelia , che ha preso spunto dal passo sulle nozze di Cana, nella Messa al santuario di Crea durante il pellegrinaggio annuale (che quest’anno ha avuto valenza giubilare)  dell’Unità pastorale Sant’Agata-San Gottardo. 

Ecco il testo integrale dell’omelia:

Carissimi fratelli e sorelle, carissimi sacerdoti delle venti parrocchie dell’Unità pastorale di Sant’Agata – San Gottardo, siamo saliti oggi a questo colle santo, al Santuario di Crea, come popolo in cammino.

Questo è un pellegrinaggio giubilare, segno concreto della nostra fede, della nostra speranza, della nostra volontà di rinnovarci nel cuore e nella missione.

È Maria, Madre della Speranza, che ci accoglie in questa casa antica centro spirituale della nostra terra monferrina, e ci prende per mano per indicarci la via.

La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, ci ha presentato la Sapienza di Dio che pone la sua tenda tra gli uomini, che si fa radice feconda tra il popolo dell’Alleanza.

La Chiesa, fin dai primi secoli, ha visto in questa Sapienza la figura di Maria.

E lei la pianta sempreverde piantata accanto alle acque vive, è lei che si offre come “madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza”.

Maria, che ha portato in sé il Verbo fatto carne, è colei che genera la speranza nella storia.

Ma non è una speranza astratta o romantica. È una speranza radicata nel mistero di Dio e nel vissuto concreto delle comunità, come le nostre, con le loro fatiche e le loro attese.

Nel Vangelo, siamo condotti a Cana di Galilea, alla festa che rischia di diventare un fallimento. Lì Maria, attenta e premurosa, si accorge che “non hanno vino”. E agisce.

Non interviene da protagonista, ma da madre discreta e sapiente: parla al Figlio e affida a noi un comando decisivo per ogni tempo: “Fate quello che vi dirà”.

Cari fratelli e sorelle, Maria è madre della speranza perché ci educa alla fiducia, ci spinge alla responsabilità, ci invita ad ascoltare Cristo, unica Parola che salva. Nella sua intercessione materna si apre lo spazio per il miracolo: dove c’era acqua della gioia, della comunione, della novità.

Anche le nostre comunità – sparse nelle nostre belle colline, nei paesi – a volte si sentono  come a Cana: le risorse sembrano finire, il vino della gioia sembra venire meno. Ma Maria ci invita a non rassegnarci, a non chiuderci, a  non coltivare campanilismi sterili, ma ad ascoltare i Signore e collaborare insieme, come servitori attorno alle anfore.

Questo pellegrinaggio giubilare segna l’inizio di un nuovo anno pastorale, ma anche una nuova stagione dello Spirito per la vostra Unità pastorale.  Venti parrocchie, con la loro storia e le loro ferite, con le loro energie e i loro doni, sono chiamate a camminare insieme. Non è un progetto gestionale, ma una conversione evangelica. Non è un programma calato dall’alto, ma una risposta comunitaria alla voce dello Spirito.

Francesco ci ha ricordato  che “la speranza cristiana non è ottimismo ingenuo, ma certezza radicata nell’amore di Dio”. E ancora: “La parrocchia non è una struttura decadente, ma la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli” (Evangelii Gaudium, 28).

La vostra Unità pastorale non è la somma di venti campanili, ma una delle Chiesa che vuole vivere la sinodalità, cioè il camminare insieme nella fede, nella missione, nella carità.

Vorrei ora lasciarvi alcune piste concrete, come padre e pastore, perché il cammino che  iniziate sia fecondo e fiducioso:

Custodite l’Eucaristia domenicale come cuore di ogni parrocchia e cuore dell’unità: valorizzate le celebrazioni condivise, le occasioni comuni, ma anche l’ascolto reciproco tra comunità.

Formate una vera comunità tra i presbiteri: la corresponsabilità tra i parroci, il dialogo sereno, la preghiera comune tra di voi sarà il primo segno che l’unità è reale.

Come dice san Giovanni Paolo II: “Non ci può essere nuova evangelizzazione senza nuovi evangelizzatori, e i primi siamo noi, ministri del Vangelo.

Create percorsi formativi comuni per catechisti, operatori pastorali, giovani: la formazione è la prima missione condivisa. Insieme si cresce, insieme si costruisce il futuro.

Accogliete le fatiche e i timori delle vostre comunità con pazienza e carità: la speranza non impone, ma propone. Il cambiamento pastorale sarà credibile solo se accompagnato con tenerezza, ascolto e tempo.

Siate missionari della speranza tra le famiglie, i poveri, i giovani: non chiudetevi nelle sacrestie o nelle dinamiche autoreferenziali. Usciamo! Siate Chiesa in uscita, come chiedeva con forza papa Francesco.

Cari fratelli e sorelle, a Cana il vino nuovo è segno delle nozze eterne che Dio prepara per il suo popolo. Così anche noi, qui a Crea,  comprendiamo che la speranza vera non viene dai nostri programmi, ma dalla grazia di Dio, se ci affidiamo a Lui come Maria, se lo ascoltiamo come i servi, se lavoriamo insieme senza paura.

Vi affido a Maria, Madre della

Speranza. A Lei, che nel Santuario di Crea ha custodito per secoli la fede della nostra gente, affidiamo questo cammino nuovo.

Lei è la nostra alleata nel superare le rivalità, le invidie, le chiusure.

Lei ci insegna che il vino migliore viene solo se ci fidiamo del Signore e lavoriamo insieme.

E con le parole di san Paolo VI, concludo: “La Vergine è Madre della Speranza, perché ha creduto, ha  sperato, ha amato. La sua fede è quella della Chiesa; la sua speranza è la nostra speranza”. Amen